Il mestiere del cinema, episodio 1: Mirko Perri. Sound designer

Intervista al pluripremiato sound designer che ha creato i suoni per Sorrentino, Rovere e Mainetti

Cos’è la realizzazione di un film se non un grande lavoro di squadra? Dai costumisti ai tecnici delle luci, dai produttori agli sceneggiatori, passando per runner, fixer e assistenti vari, ogni pellicola è fatta con l’energia e il talento di un’équipe di persone che collabora insieme. È un fatto noto, ovviamente, ma ciò non toglie che in genere quando si parla di un film si cita quasi esclusivamente chi ci ha messo la faccia – il cast – e il regista che l’ha diretto. La nostra rubrica Il mestiere del cinema ha invece la missione di fare zoom out da quest’immagine ristretta della creazione artistica per inquadrare anche le persone e le professioni che tendono a rimanere fuori fuoco, eppure sono decisive.

Iniziamo da Mirko Perri, un sound designer che è un’istituzione nel panorama italiano. Ha infatti lavorato con registi del calibro di Paolo Sorrentino (con La grande Bellezza, The Young Pope, È stata la mano di Dio), Matteo Rovere, Gabriele Mainetti, firmando i suoni di film che hanno segnato con la loro originalità la storia recente del cinema italiano. Nel frattempo ha già portato a casa tre David di Donatello per il miglior suono: Veloce come il vento (2017), Dogman (2019) e Il primo re (2020). Il suo studio, In House, si trova a Roma.

Partiamo dalle basi. Come spiegheresti il tuo lavoro a chi non ha idea di cosa sia un sound designer?

Il mio lavoro consiste nel ricreare il mondo sonoro di un film seguendo le necessità narrative della storia che viene rappresentata. Lo spettatore che non conosce il dietro le quinte è portato a credere che quello che ascolta sia il risultato del suono prodotto sul set. In realtà, escludendo la performance vocale degli attori, che viene catturata in presa diretta, il resto degli elementi sonori viene ricreato in post produzione. Le atmosfere, gli effetti sonori, i movimenti dei personaggi sono frutto di un lungo lavoro che viene svolto a film già montato. Nel mio studio, In House, mi occupo di supervisionare questo processo con la collaborazione di tanti talenti, ognuno specializzato in un particolare aspetto del montaggio sonoro o del missaggio audio. Nel migliore dei casi partiamo leggendo la sceneggiatura e una volta capite le esigenze del film si mette in moto una macchina che prevede la collaborazione di molte persone.

Come hai iniziato a farlo?

Ho iniziato questo mestiere perché da adolescente ero un grande consumatore di cinema e avevo una grande passione per la musica, ricordo il giorno in cui guardando Lisbon story rimasi affascinato da questo personaggio che andava a caccia di suoni in giro per la città. Credo che quello stimolo mi abbia portato dove sono ora. Ho studiato musica, ma sempre con risultati mediocri e così ho iniziato a studiare tecnologie audio e mi sono formato come tecnico del suono in ambito musicale proseguendo poi nella post produzione cinematografica.

Da quello che dici anche il tuo è un lavoro di squadra…

La collaborazione è la cosa fondamentale per la riuscita di un buon lavoro, questo credo sia vero in tutti i campi. Un film poi è un’opera collettiva, la collaborazione è sacra. A voler essere più specifici nel mio settore si ha a che fare con un medium, quello sonoro, che ha la caratteristica di essere percepito in maniera molto soggettiva. Illudersi di poter veicolare un messaggio o una sensazione specifica allo spettatore solo sulla base della propria percezione è sbagliato. Il risultato dato dalla collaborazione di più teste (e più orecchie) sarà sicuramente più efficace nel restituire a chi guarda il film l’intenzione narrativa dell’autore.

La sfida più difficile che ti è capitato di affrontare?

Non ne ho una in particolare da raccontare, nel mio lavoro ci sono sfide quotidiane da affrontare. Posso dire che a mettermi più in difficoltà sono i momenti in cui devo creare il suono di cose o di situazioni di cui non ho esperienza diretta, quando devo lavorare di immaginazione e figurarmi come potrebbero essere se fossi lì ad ascoltarle.

C’è un film in particolare in cui avresti voluto lavorare?

Ce ne sono tantissimi, probabilmente un film di Nolan a caso.

Tra i tuoi ultimi lavori c’è quello per È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. C’è un episodio legato a questo film che vorresti raccontare?

Tutta la lavorazione è stata un’esperienza singolare, è un film molto personale e rendere sonori tutti i ricordi di un grande autore come Paolo Sorrentino è qualcosa che non capita tutti i giorni.

Rivedi spesso i film per cui hai lavorato? Che effetto ti fa?

Ad essere sincero evito di rivederli, quando capita a distanza di tempo mi dico sempre che alcune cose avrei potuto farle meglio.

Mirko Perri al lavoro nel suo studio romano In House

Tra gli altri film che hanno vinto un David in questi anni ce n’è qualcuno che ti è piaciuto particolarmente?

Mi è piaciuto moltissimo Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, un lavoro eccellente da parte di tutti quelli che ci hanno partecipato.

Tu hai già vinto tre David e sei stato nominato 6 volte. Qual è l’obiettivo a cui aspiri oggi?

I premi sono molto importanti e sono una bella gratificazione, non bisogna nasconderlo. La mia aspirazione è sempre la stessa: cercare di fare un buon lavoro, al massimo delle mie potenzialità. Se devo pensare a nuove aspirazioni, forse c’è quella di riuscire a passare un po’ della mia esperienza alle persone più giovani che si affacciano su questo mestiere. Di talento, tra i ragazzi, ce n’è tantissimo.

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"Il mio lavoro consiste nel ricreare il mondo sonoro di un film seguendo le necessità narrative della storia che viene rappresentata"

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