Per il centenario dalla nascita di Vittorio Gassman, l’Auditorium Parco della Musica di Roma allestisce una grande mostra sull’artista: è la prima.
Se pensiamo a Vittorio Gassman, abbiamo subito in mente lo straordinario attore che forse meglio di tutti ha saputo attraversare con professionalità e carisma ogni genere e registro, dalla commedia al film impegnato, lavorando praticamente con tutti i grandi registi di un cinquantennio, in pellicole osannate e in altre meno riuscite. Ma quanti Vittorio Gassman riusciamo davvero a contare nella memoria? Un aiuto: non basta mettere insieme i suoi indelebili ruoli al cinema – e quali scegliere poi? Dal “Peppe er Pantera” de I soliti ignoti al “principe” di Dimenticare Palermo passando ovviamente per Brancaleone da Norcia, per il Giovanni Busacca de La grande guerra e per mille altri ancora… Sì, perché ai tantissimi Gassman che abbiamo ammirato sul grande schermo vanno aggiunti anche il Gassman regista, il Gassman appassionato attore di teatro, il Gassman scrittore, quello sceneggiatore e doppiatore.
E il bello è che, da ognuna di queste prospettive, il profilo di Vittorio Gassman appare come quello di un gigante. È questo lo spirito con cui lo celebra la mostra in cartellone all’Auditorium Parco della Musica dal 9 aprile al 29 giugno 2022: in oltre 1000 mq di spazio espositivo, l’intento è quello di raccontare un uomo poliedrico, un artista a tutto tondo che non ha mai smesso di mettersi in gioco. La mostra, la prima che gli è dedicata, raccoglie materiali e testimonianze di vario genere, tra cui anche file audiovisivi inediti, ma pure oggetti personali e curiosità, proprio per dare spessore a ogni aspetto e a ogni sfaccettatura della personalità di Gassman.
È un anno intenso, il 2022, per il cinema e per la capitale. Tre centenari, tre figure portentose e tra loro assai diverse che chiedono di essere ricordate: Pasolini, Tognazzi e, appunto, Gassman, tutti e tre nati un secolo fa. È un’occasione importante per entrare di nuovo in dialogo con grandi personalità che hanno illuminato la nostra cultura e che continuano a fare luce, e la città di Roma ha ovviamente messo in campo il suo impegno per questo appuntamento.
Nel catalogo della mostra, edito dalla casa editrice Skira, è presente, tra i vari contributi, un saggio introduttivo del figlio Alessandro Gassman che è anche uno dei curatori della mostra. Riportiamo qui sotto alcuni estratti dalla pubblicazione in cui Alessandro parla del padre e del rapporto cruciale che li ha uniti, anche nella condivisione delle esperienze teatrali e cinematografiche. Nelle pagine del saggio è tratteggiato un vivido ritratto dell’uomo Gassman, intimo, affettuoso e lontano dal mito.
«Un paradosso: Vittorio aveva costruito la propria carriera sulla parola, sul rispetto della lingua italiana, sull’amore per la poesia e sul gusto dell’ironia ma nel privato era un uomo taciturno, desideroso di riservatezza. Uno dei pochi lussi che amava concedersi, nella sua vita consacrata alla ricerca della perfezione, era stare con le persone di cui si fidava per non essere costretto a non usare la parola, rivelandosi così per quello che era al di là del mostro sacro Gassman. Da questo punto di vista, papà somigliava a Carlo, il capostipite del film di Ettore Scola La famiglia».
«Papà è stata la persona che in assoluto mi ha fatto più ridere nella vita. Detestava i leccapiedi che lo chiamavano “maestro” e gli elogi servili che considerava svenevolezze poco “di sinistra”. Invece adorava essere preso in giro, anche da me. Per tutta la vita si è divertito a smontare il suo mito, a scendere da quel piedistallo sui cui l’aveva piazzato il suo talento fuori dal comune».
«Mi chiedo spesso cosa Vittorio penserebbe se fosse ancora tra noi. Sicura-mente avrebbe orrore della mediocrità che ci circonda in tutti i settori della società. E sui social si divertirebbe a castigare tutti, senza paura e senza giri di parole. Scomparso lui e gli altri grandi della sua generazione, sono rimasti infatti i peggiori. Penso anche che diventando sempre più vecchio papà avrebbe dedicato più tempo a se stesso. Da raffinato intellettuale qual era, amico fraterno di giganti come Pier Paolo Pasolini e Ennio Flaiano dei quali aveva assorbito la lezione, si sarebbe concentrato sull’arte che amava di più: la scrittura. E sicuramente ci avrebbe regalato altre opere di grande spessore».